Spazi sociali rigenerati: cosa sono?
In un vecchio palazzo abbandonato nasce un centro per anziani; dentro un locale sequestrato allo spaccio della droga, le donne maltrattate trovano oggi un centro di ascolto e di assistenza; un centro commerciale vuoto in periferia diviene sede di palestre sociali e biblioteche, scuole popolari per italiani e stranieri. Laddove il pubblico si ritira, s’insinua l’iniziativa di singoli gruppi autorganizzati e autofinanziati, che recuperano e valorizzano il patrimonio edilizio abbandonato e indirettamente portano ricchezza, seppure con la modalità dell’occupazione non autorizzata.
Gli spazi sociali rigenerati sono questo, luoghi dove si riescono a creare delle comunità e arginare situazioni di atomizzazione sociale e isolamento, dove di aggregano e recuperano ragazze e ragazzi che vivono ai margini a causa di disagi familiari, della dispersione scolastica e della mancanza di attività alternative messe a disposizione dal pubblico. Essere al governo di una regione o di una grande città significa dover far fronte a realtà complesse, analizzandole e tentando di fare chiarezza fissando delle regole che tengano conto della peculiare situazione in cui si opera.
Risorsa o danno per le amministrazioni?
In una società dove istituzioni sono costrette ad effettuare tagli ai servizi per sopperire ai debiti e far quadrare i conti, non si deve e non si può ignorare la ricchezza sociale, ma anche economica, ottenuta dalla riqualificazione – ad opera di gruppi di privati cittadini – degli immobili precedentemente abbandonati. Centri sociali e culturali nati in immobili pubblici e in disuso non fanno altro che sopperire alla carenza di iniziativa sociale e culturale, creando un supporto sociale dove lo Stato aveva battuto in ritirata, attivando la partecipazione delle persone e arricchendo i territori con tutti quei servizi che le istituzioni non possono garantire.
Il discrimine deve essere lo scopo: laddove il fine è il lucro perseguito attraverso l’occupazione di spazi pubblici, benché abbandonati, il Comune ha il dovere di tornare in possesso di quegli immobili. Troppo spesso si sono chiusi tutte e due gli occhi su occupazioni che di finalità sociale avevano poco. Gli occhi sono stati chiusi per gli amici degli amici, per l’elettorato di riferimento, per gruppi di potere che avrebbero ricambiato poi il favore. Ma a fronte di poche esperienze speculative ce ne sono tante virtuose, e quelle vanno tutelate.
Il cattivo utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico delle città è una questione tristemente nota, ma la responsabilità non può ricadere sull’attività virtuosa di alcune onlus. Gli esempi positivi non devono essere equiparati a quei soggetti che si sono indebitamente e ampiamente arricchiti ai danni dell’erario pubblico. Anzi, a queste realtà socio-culturali bisogna dare certezze per il futuro, inserendole in un sistema di regole condiviso che favorisca e promuova l’aggregazione e l’utilizzo sociale del patrimonio comune anche e soprattutto attraverso operazioni di manutenzione che lo preservino dall’abbandono e il degrado. Il rischio è che questi spazi autogestiti, una volta riacquisiti al patrimonio comunale, tornino a essere luoghi abbandonati o oggetto di spregiudicate speculazioni dei privati. Le amministrazioni hanno il dovere di operare affinché questo non accada.
La nostra proposta
La linea del Movimento 5 Stelle in merito è sempre stata chiara: dobbiamo recuperare e riusare il patrimonio pubblico inutilizzato. L’azione repressiva non è la risposta giusta. Nel momento necessario e transitorio di regolarizzazione, bisogna concordare progetti ad hoc che abbiano ricadute positive sulla collettività. In seguito bisogna attuare un processo di verifica che, a precise scadenze, monitori lo stato di avanzamento dei lavori, evitando così ogni rischio di speculazioni o inefficienze.
Chi si trova ad avere ruoli di responsabilità nelle istituzioni ha il dovere di cooperare con chi vive e si attiva sui territori recuperando questi spazi. Le loro competenze devono essere sfruttate, messe a frutto con l’unico scopo di fare il bene comune per i cittadini.