La Legge di Bilancio per il 2017 non apporta niente di risolutivo o quanto meno innovativo per il settore del pubblico impiego.
Innanzitutto, viene lasciata irrisolta la questione principale di questo settore: il rinnovo della contrattazione collettiva in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale. La mancata soluzione di tale problematica trascina con sé la mancanza di una soluzione integrale ed efficace per quanto riguarda gli incrementi stipendiali e lo sblocco degli emolumenti e delle indennità per comparto.
Le risorse stanziate a tal fine ammontano nel complesso a 1,9 miliardi per il 2017 e 2,6 miliardi a decorrere dal 2018. Da notare che sono qui compresi anche i comparti in regime di diritto pubblico: come magistrati, avvocati, forze armate, settore della sicurezza e settore del soccorso. Queste risorse non sono comunque sufficienti a coprire una piena reintegrazione di quanto dovuto, vale a dire di quanto perduto dal pubblico impiego. Il tutto senza dimenticarci che si tratterebbe di una reintegrazione solo parziale di quanto dovuto, reintegrazione che sarà riconosciuta solo a partire dal 2017. Infatti, nonostante l’illegittimità (riconosciuta dalla Corte Costituzionale) del perdurante blocco contrattuale e stipendiale – a causa del quale i comparti del pubblico impiego (tutti) hanno perso centinaia di euro all’anno per 6 anni – il riconoscimento di tale illegittimità spezza il decorso della norma e la cancella a decorrere dal prossimo anno, senza possibilità di recupero di quanto perso negli anni precedenti.
La lettera a) dell’art. 52 destina 300 milioni al comparto in regime di diritto pubblico per la contrattazione collettiva. E questi sono fondi per così dire “veri”, in quanto il capoverso specifica che si tratta di risorse “determinate”. Le risorse per le assunzioni (che riguarderebbero tutto il pubblico impiego, compresi i comparti sicurezza/difesa/soccorso) sono invece da “definirsi”, nel senso che non si sa quanto sarà il denaro che verrà effettivamente destinato a tale causa.
Da “definirsi” sono poi anche le risorse per i comparti indicati per il riconoscimento delle indennità specifiche, riconoscimento che è da intendersi alternativo rispetto alla proroga del c.d. bonus (i famosi 80 euro, che ammontavano per i comparti indicati a circa 960 euro l’anno per unità di personale). In sostanza, si lascia al Governo la possibilità di scegliere come intervenire.
Infine, cosa inusuale, tutte le risorse sono allocate in fondi presso il Ministero dell’Economia e saranno ripartite con DPCM.